Occhi e malocchi


La vista è il senso a cui, tendenzialmente, più ci affidiamo per conoscere il mondo che ci circonda e non è quindi un mero accidente il fatto che gli occhi e lo sguardo siano stati la fonte da cui sono scaturiti così tanti miti e credenze.
L’occhio rappresenta universalmente la conoscenza, l’onniscienza del dio che tutto vede, l’illuminazione, ma anche la vigilanza. Partendo proprio da questo ultimo significato, è impossibile non ricordare il guardiano Argo, sempre attento e solerte grazie ai suoi innumerevoli occhi che poteva far riposare in alternanza.
Se in senso figurato la vista equivale alla conoscenza, allora la cecità significa ignoranza, incapacità di comprendere. Ciò non è sempre vero quando abbiamo a che fare con le credenze folkloriche e mitologiche nelle quali a volte la cecità prelude, favorisce o sottintende la capacità di scorgere oltre il reale, oltre lo spazio e il tempo, in una parola la divinazione. Insomma, quando il senso della vista declina o si spegne del tutto, si espandono i poteri e le abilità dell’occhio interiore.
Famoso è il caso del greco Tiresia, reso cieco da una inviperita Hera e trasformato in un indovino da Zeus che cercava di risistemare i guai causati dalla moglie.
Altrettanto conosciuto è ciò che si racconta del dio Odino e cioè che abbia volontariamente
sacrificato uno dei suoi occhi1 per poter accedere alla conoscenza suprema. Questa sua parziale cecità ha reso ancor più potente l’occhio restante col quale pare riuscisse a immobilizzare i nemici e fermare in volo le frecce.
L’immagine dell’occhio è legata a doppio filo con gli dèi: nella scrittura minoica, per esempio, l’occhio era un determinativo della divinità.
L’occhio è simbolo di tutte le divinità solari ed è esso stesso un sole, «la lucerna del corpo» come sta scritto nei Vangeli (Matteo, 5, 22 e Luca, 11, 34). In India si diceva addirittura che dopo la morte gli occhi fossero riassorbiti all’interno del nostro astro (Rigveda, X, 16). Questi stessi corpi celesti – sole, luna e stelle – sono spesso immaginati come gli occhi del cielo anche se esistono delle sottili differenze. Tendenzialmente, infatti, in Occidente l’occhio destro è il sole, è il principio maschile, l’occhio del giorno e del futuro, mentre l’occhio sinistro è associato alla luna e quindi alla femminilità e alla notte ed è rivolto al passato. In Oriente le corrispondenze si invertono: in Giappone, per esempio, si narra che dall’occhio destro di Izanagi, una delle due divinità originali, nacque Tsukiyomi, dio della luna, mentre dal sinistro sarebbe venuta alla luce Amaterasu, la splendida dea del sole.
Rimanendo nell’ambito del folklore giapponese, vediamo che gli occhi sono anche collegati all’idea di furto: esistono diverse leggende di ladri a cui sono spuntati occhi sul corpo dopo che si sono impossessati di proprietà altrui. Tale connessione deriva probabilmente dal fatto che le monete venivano soprannominate “occhi di uccello”.
Un’arcaica quanto bizzarra credenza era quella della pupula duplex (in greco δίκορος), ovvero della doppia pupilla che alberga in un unico occhio. Il sempre informato Plinio il Vecchio riportava alcune notizie esposte da altri autori, soprattutto greci, riguardo alle descrizioni di certi gruppi umani (Storia Naturale, VII, 2). Per esempio, fra i Triballi e gli Illiri, antiche popolazioni della penisola balcanica, si diceva vivessero persone in grado di fascinare e addirittura uccidere con il solo sguardo, soprattutto se i loro occhi erano adirati. Occhi che possedevano una caratteristica peculiare, quella, cioè, di presentare due pupille. Tale connotato compariva anche in alcune donne della Scizia, conosciute con il nome di Bitiae, e negli appartenenti alla tribù dei Tibii del Ponto. Questi ultimi portavano la questione a un ulteriore livello: essi infatti sfoggiavano in un occhio una doppia pupilla e nell’altro la figura di un cavallo. Plinio continuava segnalando Cicerone che sosteneva quanto fosse nocivo lo sguardo delle donne dotate di doppia pupilla. E noi potremmo aggiungere anche Ovidio che ci racconta di Dipsas, la mezzana esperta di arti magiche, nei cui occhi lampeggia una doppia pupilla (Amores, I, 8, 15-16)2. Questo stravagante tratto è dunque sempre relazionato a un giudizio negativo sulla persona che lo possiede, quasi che la doppia pupilla renda manifesta una duplice personalità alla Dottor Jekyll e Mister Hyde.
Occhi con molteplici pupille al loro interno li rinveniamo nella mitologia irlandese, anche se qui paiono preferibilmente legate a caratteristiche vantaggiose e desiderabili. Nell’episodio della saga di Cu Chulainn in cui l’eroe corteggia Emer, viene detto che il giovane ha sette pupille, quattro in un occhio e tre nell’altro e che questo era uno dei motivi per cui le donne dell’Ulster lo trovavano attraente. Mentre all’inizio del Táin Bó Cúailnge (La razzia del bestiame del Cuailnge), quando l’esercito si raduna, appare una stupenda fanciulla, Feidelm, che si scopre essere una profetessa e che possiede tre pupille in ciascun occhio. In quest’ultimo caso, tale inusuale connotato può interpretarsi sia come un segno di bellezza che come un simbolo di chiaroveggenza. Ma neppure a queste latitudini la “multipupillarità”, chiamiamola così, veicola sempre messaggi positivi. La riscontriamo anche in personaggi ostili come Ingcél che ne La distruzione dell’ostello di Da Derga (Togail Bruidne Dá Derga) è descritto come avente «un solo occhio sulla sua testa, grande quanto una pelle di bue, nero come uno scarafaggio e con tre pupille».
Non è chiaro come sia nata la superstizione della pupula duplex e, nonostante si sia ipotizzata anche una derivazione naturale nata dall’osservazione di rare anomalie oftalmiche, personalmente lo reputo abbastanza improbabile3. La maggioranza degli studiosi ha comunque sottolineato una certa continuità con il concetto altrettanto curioso della cosiddetta anima pupillina.
L’anima pupillina sarebbe una figura umana, una sorta di omuncolo, che fa capolino nell’iride e che rappresenterebbe il vero “io”, la vera anima della persona. Tutti ne possediamo una che ci accompagna durante la nostra vita ma che scompare in prossimità della morte. La circostanza era ritenuta così sicura che per capire se un malato si sarebbe salvato oppure no, bastava un semplice esame degli occhi: ce l’hai, sopravvivi, non ce l’hai muori. Questo “mini-me” non doveva per forza avere una forma umana. Lo abbiamo già visto con i Tibii, ma si narra anche che il semi-leggendario eroe vichingo nonché re danese Sigurðr Ormr í auga esibisse in un occhio la figura di un serpente da cui derivò il suo soprannome (Ormr í auga significa, appunto, Serpe nell’occhio) e quando dilagò la paura per la stregoneria, la presenza di un’anima pupillina bestiale o che si mostrava capovolta era giudicato il marchio inconfondibile di patto con il demonio. Tradizione, quest’ultima, incredibilmente longeva se Bernoni, ancora nel 1874, scriveva che «Le xe strighe quele done o vecie che ga le putine dei oci arevoltae e le varda par roverso»4.
Ciò che veniva indicato con il nome di anima pupillina non è, in realtà, nulla di magico o astruso, anzi, è qualcosa che possiamo sperimentare quotidianamente senza troppa fatica. Quando si guarda negli occhi un’altra persona che ci è direttamente di fronte, la nostra immagine si riflette nella sua iride, l’errore stava nel pensare che quell’omuncolo fosse non l’immagine di chi guarda, ma l’immagine di chi è guardato, che quella figurina fosse, insomma, l’essenza della persona che avevamo davanti. È probabile che sia questo il motivo per cui, ancora oggi, diciamo che gli occhi sono lo specchio dell’anima e che chiamiamo la pupilla con questo nome. Pupilla, infatti, significa bambina, fanciullina e termini similari vengono utilizzati in altre lingue e dialetti.
La credenza nell’anima pupillina è quasi universale. Una storia cinese racconta di un tizio, Fang Tung, che un giorno fissò una donna su cui proprio non avrebbe dovuto posare gli occhi, la moglie di un Principe della Città degli Immortali. L’ancella della donna, per dargli una lezione, raccolse una manciata di polvere da terra e gliela tirò sul viso: da quel momento gli occhi di Fang Tung si ricoprirono di una specie di cateratta e divenne cieco. L’uomo si gettò sulla meditazione sperando di risollevare le sue sorti e dopo circa un anno di studi sentì una vocina proveniente dal suo occhio sinistro che esclamava: «È terribilmente scuro qui!». Alla prima rispose una seconda voce, questa volta dall’occhio destro, che propose all’altra una passeggiata. A questo punto, l’uomo sentì dei movimenti, come se qualcosa scendesse lungo il suo naso e se ne uscisse dalle narici e, dopo qualche tempo, ritornasse per la stessa via. Le misteriose “passeggiate” si ripeterono più volte, tanto che la moglie di Fang fu testimone di una di queste, scorgendo due piccole personcine, grandi non più di un fagiolo, far su e già dal naso del marito e gironzolare per la casa. Passati alcuni giorni, le vocine si lamentarono per la poca praticità della strada che avevano scelto e decisero di aprirsi una porta. Quella dell’occhio destro ammise di non poterci riuscire: troppo spesso era il suo muro. Quella dell’occhio sinistro, allora, invitò l’altra da lei e si misero al lavoro. Fang sentì un forte dolore in quell’occhio e si accorse all’improvviso di poter vedere. Quando esaminarono i suoi occhi, si accorsero che il destro era rimasto opaco e cieco, mentre il sinistro aveva due pupille e ci vedeva benissimo.
Dall’anima pupillina potrebbe derivare anche il concetto di malocchio, inteso qui come l’attributo fisico, l’occhio malvagio, e non il potere fascinatorio che da questo promana. L’occhio può, infatti, presentarsi come il mezzo, la finestra, da cui il male si irraggia tutt’intorno. Meglio ancora, seguendo la leggenda cinese appena esposta, potremmo immaginarlo come una porta da cui l’anima si espande verso il mondo. Perciò se l’anima è cattiva, maligne saranno pure le sue emanazioni.
Tutti i popoli hanno creduto, o credono tuttora, nell’esistenza di persone in grado di trasmettere i loro poteri nocivi tramite gli occhi. In fondo, lo sguardo è percepito un po’ come un contatto a distanza. Questo influsso che dardeggia dagli occhi, specie se carico di odio, rabbia o invidia, è in grado di far del male e addirittura uccidere le persone su cui si posa, e i più suscettibili a tali attacchi sono i bambini, i più giovani in generale e le donne. Il malocchio può colpire tutti gli esseri animati, sebbene si concentri soprattutto sugli animali domestici, ma neppure gli oggetti possono considerarsi esenti da questo fascino. Sebbene solitamente il malocchio sia attivamente prodotto, a volte capita anche che si diffonda in maniera del tutto involontaria, tanto che si può rischiare di danneggiare persone care o, addirittura, se stessi. A questo proposito, va ricordato il mito di Narciso. Una delle sue interpretazioni è proprio quella che specchiandosi nell’acqua si sia auto-affascinato, che sia stato, come dice Ovidio nelle Metamorfosi, «vittima dei suoi stessi occhi». Identica sorte sarebbe toccata al meno famoso Eutelida citato da Plutarco (Quaestiones Conviviales, V, 7).
Più di recente, personaggi come streghe, maghi, vampiri, lupi mannari ed ecclesiastici di vario grado sono stati accusati con frequenza di possedere l’Evil Eye, l’occhio maligno. Singolarmente perniciosi sarebbero anche i condannati a morte a cui vengono bendati gli occhi o gli viene coperto il capo in modo da rendere nulli gli effetti delle loro temibili occhiate.
Si ritiene che l’occhio malevolo possa diffondere anche malattie: durante la Peste Nera, in Inghilterra si pensava che lo sguardo di un ammalato fosse fonte di contagio, credenza riportata pure da Shakespeare nella commedia Pene d’amor perdute5.
Come sappiamo, non tutto ciò che promana dagli dèi è cosa buona e giusta. Ovviamente anche le divinità possiedono l’Evil Eye: si è ipotizzato, per esempio, che i primi Greci considerassero i lampi come un segno del “malocchio” di Zeus e, dopotutto, ancora oggi quando qualcuno ci guarda male, diciamo “mi ha fulminato con lo sguardo”.
Il malocchio, oltre a essere un’abilità appresa con lo studio e la pratica, può essere parte integrante di una persona, secondo un’idea molto simile al nostro concetto di congenito.
Generalizzando, si può affermare che tutto ciò che differisce da ciò che viene percepito come “normale” è un potenziale indicatore di presenza del malocchio. Tutte le anomalie fisiche, a maggior ragione quando interessano gli occhi, vengono equiparate a un’anomalia dello spirito o del carattere oppure vengono interpretate come il contrassegno di una punizione divina e quindi, secondo la mentalità tradizionale, come degli indizi di colpa. Nello strabismo, l’occhio storto devia dalla sua retta posizione e così inevitabilmente deve essere anche per l’intera persona “marchiata” da questo perturbante tratto. Ancora ai giorni nostri ci sono rimasti modi di dire che si rifanno a queste credenze quali guardare di sbieco o di traverso e non dimentichiamo neppure il termine losco che ormai utilizziamo quasi solo in senso figurato, ma che deriva dal latino lŭscus e significava sia cieco da un occhio che strabico.
Esistono vari esempi di figure dotate di Evil Eye e del potere nefasto che da questo zampilla.
Nella mitologia irlandese Balor, un capo dei Fomori, viene descritto, a seconda delle fonti, come un
malvagio gigante con uno, due o perfino tre occhi, che possono essere variamente disposti (per esempio, può averne uno davanti, sul viso, e uno dietro, sulla nuca)6. In ogni caso, tutti concordano con il fatto che il suo occhio (sia esso singolo o uno fra tanti, ma ritenuto speciale) sia malvagio, venefico, in grado di sterminare un intero esercito solo posando lo sguardo su di esso. A volte si aggiunge il particolare della palpebra enorme e pesante, che ricopre l’occhio quando non è utilizzato per far del male e che può essere sollevata solamente con l’aiuto di quattro o più uomini7. Tale maligno potere non era innato, bensì acquisito. Si racconta, infatti, che da giovane Balor ebbe l’ardire di spiare i druidi al servizio del padre mentre preparavano delle pozioni segrete: i fumi di quegli intrugli velenosi vennero assorbiti dal suo indiscreto occhio che da allora divenne portatore sano di cattiveria. Per questa sua caratteristica, Balor ricevette, tra l’altro, epiteti quali Balor Birugderc (in inglese: Balor of the Piercing Eye) e Balor na Súile Nimhe (in inglese: Balor of the Evil Eye). Secondo quanto si narra nel Cath Maige Tuired, Balor partecipò alla seconda battaglia di Maige Tuired e durante questa venne ucciso, come era stato profetizzato, da suo nipote Lug che lo atterrò lanciando una pietra nel suo pericoloso occhio. Esistono, però, diverse rielaborazioni di questa storia tanto che nel XIX secolo vennero raccolti nel nord dell’Irlanda svariati racconti popolari che avevano come protagonista questo personaggio. In una variante collegata a Tory Island8, per esempio, l’assassino di Balor è sempre il nipote, ma si chiama Gavida, è un fabbro e fa fuori il nonno infilzandogli nell’occhio una barra di metallo arroventato, un po’ Polifemo style.
Balor non è l’unico gigante provvisto di malefiche abilità oculari. Nell’epopea di Gilgamesh, l’eroe omonimo, insieme a Enkidu e un “aiutino” del Dio del Sole, sconfigge un orrendo essere chiamato Humbaba che vive nella sacra foresta sul Monte dei Cedri. Questo mostro «aveva una faccia feroce e terribile, e un occhio, nel mezzo, col quale poteva tramutare in pietra chiunque fissasse» inoltre, sappiamo che «ogni qualvolta Humbaba esce e va in giro, si avvolge in ben sette strati di vesti differenti». L’occhio malvagio protetto da sette veli è un motivo (D2071.0.1) che si presenta spesso nella fiabistica, c’è pure in una delle varianti della storia di Balor.
Anche nella Bibbia e nel folklore ebraico viene spesso tirato in causa il malocchio. Vorrei soffermarmi nello specifico su una delle versioni della sconfitta di Golia per mano di Davide. Questa leggenda spiega che Davide, avanzando verso Golia, gli lanciò il malocchio causandogli la lebbra che immediatamente costrinse il gigante a terra, confuso e incapace di muoversi. Davide gli disse che avrebbe lasciato la sua carcassa agli uccelli del cielo e quando Golia sentì questo alzò gli occhi per verificare se vi fossero dei volatili. Il movimento verso l’alto della testa spinse leggermente indietro il visore del suo elmo di bronzo e proprio in quell’istante Davide lo colpì con il sasso fatale. Oltre all’interessante gioco di sguardi, pare quasi che la narrazione suggerisca che il punto in cui Golia viene colpito sia proprio l’occhio, cosa che lo avvicinerebbe ancor più a Balor e compagni.
Non fatevi illusioni, anche l’occhio degli animali può rivelarsi fatale. Plinio ci parla innanzitutto del catoblepa (dal greco “guardare in basso”) un leggendario quadrupede africano dalla testa così pesante che raramente riesce ad alzare il capo. Questo inconveniente a cui deve il suo stesso nome è, ad esser sinceri, un fortunato incidente per il resto degli esseri viventi in quanto, continua Plinio, il suo sguardo uccide, quindi è decisamente meglio che lo rivolga sempre verso terra. Poteri simili ha il molto più noto basilisco, mostro serpentiforme a volte confuso, soprattutto dagli anglofoni, con la coccatrice9. Ma non solo gli animali che oggi sappiamo essere immaginari avevano questo genere di potere. Sempre Plinio ci fa sapere che, ai suoi tempi, in Italia si credeva che se un lupo vi fissa prima che voi possiate fissarlo per primi questi vi renderà temporaneamente muti, da qui il modo di dire Lupus est tibi visus che corrisponde più o meno al nostro Il gatto ti ha mangiato la lingua. La credenza sulla dannosità dello sguardo del lupo si è rivelata molto longeva, tanto da ritrovarsi nel moderno folklore di varie nazioni10.
Esiste, però, anche un animale il cui sguardo risana. Si tratta del caradrio un volatile che, come spesso accade, non è stato unanimemente identificato dagli studiosi. Eliano – siamo fra il II e il III secolo della nostra Era – sosteneva che il caradrio avesse una straordinaria capacità: «Se un uomo colpito dall’itterizia lo osserva fissamente e se il caradrio lo guarda a sua volta con intensità, quasi provasse per lui un sentimento di gelosia, quello sguardo libererà il malato dai suoi disturbi» (La natura degli animali, XVII, 13). Ma c’era chi si spingeva pure più in là con le affermazioni: «Se qualcuno è infermo, per mezzo del caradrio si può sapere se vivrà o morirà. Infatti, se la malattia di un uomo è mortale, il caradrio, non appena vede l’infermo, distoglie il suo sguardo da lui e tutti capiscono che quello è destinato a morire. Se invece l’infermità non è tale da condurre alla morte, il caradrio guarda in faccia l’infermo e prende su di sé tutte le sue malattie e vola fino al cielo del sole e le brucia e le disperde, e l’infermo risana» (Il Fisiologo, V).
Ma se è rischioso l’essere guardati da determinati esseri viventi, è altrettanto deleterio vedere ciò che non deve essere visto, ciò che per qualche ragione ci sarebbe interdetto. Prime fra tutte, le divinità, su cui possiamo posare gli occhi solo dietro loro espresso consenso. Atteone che ha sorpreso Artemide mentre faceva il bagno, viene tramutato da questa in cervo e sbranato dai suoi stessi cani. Semele viene folgorata da Zeus perché ha voluto vedere il volto dell’amante. Orfeo perde la sua amata Euridice perché si volta a guardarla, azione che gli era stata esplicitamente vietata, mentre quando la moglie di Lot si volge a osservare la distruzione di Sodoma si trasforma in una statua di sale, pietrificata per l’eternità come chi ha osato posare lo sguardo su Medusa. Nel folklore inglese c’è Peeping Tom che diventa cieco dopo aver sbirciato le nudità di Lady Godiva, mentre in quello nostrano sappiamo che la Redodesa (una figura simile alla Befana diffusa soprattutto nel bellunese) se vi sorprende a spiarla, vi ingoia in un sol boccone. Qualche riga più su, poi, abbiamo visto gli esempi di Balor e di Fang Tung.
Ma al di là delle interpretazioni folkloriche, il timore reverenziale che suscitano gli occhi e l’essere fissati potrebbe avere basi ben più ancestrali di quanto si potrebbe supporre a una prima occhiata: pensiamo agli ocelli, quelle macchie dalla forma tondeggiante che ricordano, appunto, degli occhi e che decorano i corpi di svariati animali (esempi noti sono il pavone e le farfalle). Nella maggioranza dei casi il loro intento è quello di intimidire potenziali predatori, quindi mi verrebbe da dire che noi esseri umani non abbiamo inventato nulla.
Il potere di un occhio maligno che scruta è talmente evocativo che riaffiora perfino in Tolkien, in particolar modo quando Frodo guarda nello Specchio di Galadriel: «Nel nero baratro apparve un Occhio, uno solo, che crebbe lentamente, invadendo tutto lo Specchio. Tale era il terrore che da esso sprigionava, che Frodo ne fu paralizzato, incapace di gridare o di distogliere lo sguardo. I contorni dell’Occhio erano di fuoco, mentre nel globo vitreo della cornea gialla e felina, vigile e penetrante, si apriva, nel buio di un abisso, la fessura nera della pupilla come una finestra sul nulla. Poi l’Occhio incominciò a vagare, frugando qua e là; e Frodo sapeva con orrore e certezza che fra le molte cose che esso cercava vi era anche lui» (La compagnia dell’anello, Libro II, VII).

Bibliografia
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CHIESA ISNARDI Gianna, 2008, I miti nordici, Milano, Longanesi
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ZUCKER Arnaud, 2004, Physiologos. Le bestiaire des bestiaires, Grenoble, Éditions Jérôme Millon
ELIANO (a cura di MASPERO Francesco), 1998, La natura degli animali 2 voll., Milano, Rizzoli
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MCDANIEL Walton Brooks, The pupula duplex and Other Tokens of an «Evil Eye» in the Light of Ophthalmology, in Classical Philology, XIII, 1918, pp. 325-346.
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SHAKESPEARE William, 2016, Enrico V , Milano, Garzanti Editore
SHAKESPEARE William, 2012, Pene d’amor perdute, Milano, Garzanti Editore
SHAKESPEARE William, 2009, La dodicesima notte, Milano, Arnoldo Mondadori Editore
STOKER Bram, 2008, Dracula, Milano, Arnoldo Mondadori Editore
TOLKIEN J. R. R., 1974, Il Signore degli Anelli, Milano, Rusconi

Reperibili online:
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– SMITH K. F., 1902, Pupula Duplex. A comment on Ovid, Amores, 1, 8, 15, pp.287-300 in Studies in honor of Basil L. Gildersleeve : Gildersleeve, Basil L. (Basil Lanneau), 1831-1924 : Free Download, Borrow, and Streaming : Internet Archive
– OVIDIO Amores – Wikisource
Plutarch, Quaestiones Convivales, Book 5., chapter 7 (tufts.edu)
The Hymns of the Rigveda, Vol. IV : Vedas. Rigveda : Free Download, Borrow, and Streaming : Internet Archive
Cath Maige Tuired: The Second Battle of Mag Tuired (ucc.ie)
Táin Bó Cúalnge Recension 1 (ucc.ie)
The Wooing of Emer by Cú Chulainn (ucc.ie)
The destruction of Da Derga’s Hostel (ucc.ie)
– Krappe Alexander #7 – Balor with the evil eye; studies in Celtic and French literature, … – Full View | HathiTrust Digital Library
Hero-tales of Ireland – Jeremiah Curtin – Google Libri
– GINZBERG Louis, The Legends of the Jews Chapter IV: David (sacred-texts.com)
– BERNONI Domenico Giuseppe Le strighe: leggende popolari veneziane – Google Libri
Zeus : a study in ancient religion : Cook, Arthur Bernard, 1868-1952 : Free Download, Borrow, and Streaming : Internet Archive
Strange Stories from a Chinese Studio (Volumes 1 and 2) by Songling Pu – Free Ebook (gutenberg.org)
Faune populaire de la France. Tome 1 / Eugène Rolland | Gallica (bnf.fr)

1In realtà, uno degli epiteti del dio era Tvíblindi, cioè cieco da entrambi gli occhi, sebbene la storia tramandataci parli di uno solo. Si potrebbe ipotizzare, dunque, che una versione non pervenutaci parlasse di cecità completa.
2«oculis quoque pupula duplex fulminat et gemino lumen ab orbe venit».
3Nello specifico, si è tirata in ballo l’anomalia congenita detta membrana pupillare persistente e il coloboma dell’iride.
4«Sono streghe quelle donne o vecchie che hanno le pupille capovolte e che guardano di traverso».
5«They are infected; in their hearts it lies; They have the plague, and caught it of your eyes» ovvero «Sono infetti, il male è penetrato nei loro cuori; hanno la peste, presa dai vostri occhi» (Atto V, Scena II; Traduzione di Nemi D’Agostino, vedasi Bibliografia).
6Balor è un ottimo esempio del fatto che a livello simbolico l’avere un solo occhio, averne molteplici oppure avere occhi enormi sono declinazioni diverse ma equivalenti di una stessa nozione: tutte e tre le tipologie di rappresentazione esprimono l’idea del potere e sottolineano l’importanza rivestita da tale tratto.
7Il particolare della palpebra sollevata a forza da schiere di servitori lo si ritrova anche nella leggenda di Yspaddaden, il capo dei Giganti che appare nell’avventura dedicata a Culhwch e Olwen nel Mabinogion gallese. Sebbene sia ipotizzabile che, in passato, anche questa figura fosse provvista di evil eye, nel racconto non viene mai esplicitamente attestato. Per questo motivo, si è preferito non inserire tale personaggio nella trattazione.
8Tory Island è una piccola isola situata a poche miglia nautiche dalla costa nord ovest della Contea di Donegal, nel nord dell’Irlanda. Il suo nome in irlandese è Toraigh. Diversi suoi siti sono tuttora collegati alla figura leggendaria di Balor.
9Shakespeare, per esempio, cita indifferentemente sia lo sguardo mortale del basilisco (Enrico V, Atto V, Scena II e Cimbelino, Atto II, Scena 4) che quello della coccatrice (Romeo e Giulietta, Atto III, Scena 2; Riccardo III, Atto IV, Scena I e La dodicesima notte, Atto III, Scena IV), ma nelle traduzioni italiane l’originale cockatrice viene reso sempre come basilisco, probabilmente per via della sua maggiore notorietà. Quanto a quest’ultima creatura, essa viene tirata in ballo pure da Bram Stoker nel quarto capitolo di Dracula, quando gli occhi del vampiro «con il loro ardore di orribile basilisco» “paralizzano” il povero Johathan Harker.
10 Per esempio, in Francia, almeno ancora a fine Ottocento, si chiedeva scherzosamente a chi aveva perso la voce se avesse visto il lupo.


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