Alla Festa dei Pensieri Leggeri


I bivi sono nodi pericolosi, soprattutto al buio.
Fanno smarrire la strada ed è lì che creature maligne tendono i loro agguati. Ecco perché è frequente trovarvi edicole votate agli dei e ceri accesi per dissipare le ombre.
Il bivio dei Tre Passi si trova in mezzo a un bosco. Lo toccano tre strade ben tracciate, sfiorate da felci che lì crescono rigogliose. Il dio dei crocicchi dipinto sull’edicola è ormai una sagoma sbiadita color ruggine e fumo. Gli strati di cera accumulatisi alla base nascondono il disegno del suo animale sacro, un cane fulvo a malapena intuibile.
La ragazzina offre un piccolo cero profumato.
«Lascia che siano i ricchi a sperperare denaro in cera d’api, da noi, gli dei accettano volentieri candele di sego.» la rimprovera il padre.
Lei lo ignora. A mani giunte chiede la stessa grazia implorata al mattino davanti all’altarino di casa.
Un abbaiare acuto e strozzato precede un fruscio di felci. Una volpe spunta sulla strada sbarrando il loro cammino. È una crociata dal pelo rosso e nero.
La ragazzina libera la base dell’edicola dalla cera. Non è un cane quello dipinto, ma una volpe, animale sacro al dio degli inganni che qualche volta si appropria dei crocicchi.
«Torniamo a casa.» dice la ragazzina. «Il dio ci sta ammonendo dall’andare in città.»
È turbata. Si sa che quel dio ha modi tutti suoi di esaudire le preghiere.
«Non essere sciocca. Perché mai dovrebbe curarsi di quello che facciamo?»
La volpe scompare tra le felci.

Arrivano in città. Come da tradizione nel giorno della Festa dei Pensieri Leggeri, in molti si sono arrampicati sugli alberi per scrivere i loro Desideri sulle foglie. In autunno il suono delle chiome scosse dal vento cambierà e le preghiere saranno sussurrate fino alle orecchie degli dei.
Il padre dà alla ragazzina mezza sovrana d’argento lucido. «Spendili come più ti aggrada. Dopo pranziamo assieme a L’oca e il gallo e poi vedremo assieme gli acrobati e il teatro di marionette.»
Poi se ne va senza lasciarle il tempo di protestare.
La ragazzina corre al santuario. Una foglia è un supporto troppo caduco per le sue preghiere disperate.
Al tempio dona la sua mezza sovrana. Un sacerdote sceglie per lei una tavoletta di giovane legno chiaro, intinge un pennello di lepre nell’inchiostro nero e scrive il suo desiderio con le giuste formule.
Gli alberi scolpiti nel legno levigato sono disposti in filari ordinati. Dai loro rami pendono centinaia di tavolette, alcune nuove, altre vecchie di decenni. La ragazzina appende la sua, sperando che un dio la legga presto. Ha tanta concorrenza. Alcune tavolette sono piccole opere d’arte, dipinte con maestria dai sacerdoti. Sono le più costose, ma attirano meglio l’attenzione ed è per questo che, chi può, fa volentieri donazioni generose.
Un giovane signore le si affianca. «Davvero credi che gli dei si prendano il disturbo di venire qui a leggere tutte queste preghiere?»
La ragazzina non è abituata a parole così irriverenti verso gli dei e lo fissa colma di muta indignazione. Di incarnato pallido come il pietrisco di un torrente in secca, ha ricami d’oro sulle sue sete, un rubino squadrato al dito e una lunga piuma sul cappello.
«E se anche leggessero,» aggiunge lui mentre con il naso all’insù curiosa tra le tavolette, «chi ti dice che esaudirebbero le preghiere?»
«Nessuno di noi conosce i propositi di un dio.»
Lui scoppia a ridere e le fa cenno di andarsene, come fosse una sua serva. La ragazzina sgambetta via sapendo che i signori fanno fatica a distinguere ciò che è loro da ciò che non lo è, né amano che si faccia loro notare l’errore.

A L’oca e il gallo suo padre gioca a carte. In tre occasioni oggi la ragazzina ha pregato per essere liberata dal flagello del vizio di suo padre. Per la prima volta dopo anni, il raccolto è andato bene e l’hanno venduto a un buon prezzo. C’è di che pagare gli stagionali per cogliere le arance e anche per comprare un gallo, qualche gallina e magari una capretta da cui ricavare latte e formaggio. Ma ora tutto il denaro guadagnato è sul tavolo da gioco.
«Papà,» dice la ragazzina. «Pranza con me.»
Lui picchia il palmo sulla sedia vuota che ha accanto. «Stammi vicino, sarai il mio porta fortuna.» Poi ordina un panino tiepido ripieno di milza e una caraffa di vino biondo.
La ragazzina resta impietrita ogni volta che il padre sbaglia a calare o non si chiama fuori dal gioco quando dovrebbe. Ma forse oggi gli dei l’hanno ascoltata. Tra vincite e perdite il loro denaro resta pressappoco lo stesso.
«Papà,» tenta lei nuovamente. «Dovevamo vedere assieme gli acrobati e lo spettacolo di marionette.»
Le sue parole hanno più effetto sugli altri giocatori che, poco alla volta, si defilano fino a lasciarli soli.
Il padre allora raccoglie il suo denaro, rende all’oste il mazzo di carte e, come da regola, gli paga la dovuta percentuale sulle giocate.
In quel momento il signore che la ragazzina ha incontrato al tempio entra nella locanda. Nel vedere che il tavolo da gioco è vuoto, si acciglia. «Qualcuno ha voglia di una mano?»
Il padre squadra i ricami d’oro sulla sua bella seta, il rubino splendente e la lunga piuma.
«Gioco io.» dice.
«Ma noi dobbiamo andare.» protesta la ragazzina.
«Un’ultima mano.»
Il giovane estrae dal borsello il suo mazzo. «Se non vi spiace.»
La ragazzina lo guarda storto. «Potrebbe essere truccato.»
Lui sorride. «Perché non le distribuisci tu, allora?»
Per un attimo, lei resta ammaliata dalla bellezza del mazzo. Le figure e i semi sono disegnati con maestria e dovizia di particolari. Mescola con cura le carte e le distribuisce.
Il padre vince molte mani e il giovane perde il suo denaro con l’eleganza che si può permettere solo chi è ricco.
La ragazzina si chiede se sia un caso che sul retro delle carte siano disegnate delle volpi crociate. Per un attimo ha l’impressione che muovano coda e orecchie.
Il giovane finisce il denaro, allora sfila dal dito l’anello di rubino e lo mette sul tavolo. Sul volto ha sempre lo stesso sorriso.
«Andiamo via.» dice la ragazzina.
«Un’altra mano.» insiste il padre.
Lei protesta che gli dei puniscono l’avidità, ma il padre la deride.
La piccola fortuna accumulata sfuma mano dopo mano. Quando il padre ha sul tavolo la stessa cifra con cui è arrivato in città, la ragazzina chiede di nuovo tornare a casa, ma l’uomo non l’ascolta.
Mano dopo mano, diventano sempre più poveri. La ragazzina supplica e piange. Ma ancora il padre non l’ascolta. «Un’altra mano.» dice invece, ancora e ancora, anche quando è lui a non avere più niente.
Il giovane signore sorride, sempre allo stesso modo. «Siete senza denaro.
«Ho un aranceto. Presto darà un buon raccolto.»
«E sia.»
Il gioco prosegue.
Cala la sera. Ormai gli acrobati si sono ritirati e il teatro delle marionette ha chiuso. La ragazzina si è fatta muta, mentre il giovane si prende il frutteto, la piccola vigna e il campo che ha dato il buon raccolto. Infine la casa.
«Un’ultima mano.» dice il padre.
«Non avete più niente.» nota il giovane con il suo solito sorriso.
«Mia figlia. Potete avere lei.»
La ragazzina è troppo pallida per perdere altro colore.
«Sta bene. Se vincete, riavrete tutto, ma se perdete vostra figlia sarà mia.»
Poi, invita la ragazzina ad assistere al suo fianco, come se la sapesse già sua.
Lei osserva le carte accumularsi sul tavolo a faccia in giù. Il signore raccoglie le sue e gliele mostra. Sotto i suoi occhi, i semi e le figure si ricompongono in favore del giovane.
«Mi hai chiesto di essere liberata dal flagello del gioco, e così io esaudisco la tua preghiera.»

La ragazzina fugge fuori dalla locanda, fuori dalla città. Corre a perdifiato. Ormai è notte fonda, la strada si vede a malapena. Meno ancora quando raggiunge il bosco.
I bivi sono nodi pericolosi, soprattutto al buio. Al bivio dei Tre Passi le candele si accendono di colpo, non per dissipare le ombre, ma per meglio mostrarle.
Il giovane signore non indossa più il cappello dalla lunga piuma, la veste di seta o l’anello di rubino, ma sorride ancora.


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