Mille, un milione, un miliardo


Quando Sua Maestà lo elevò al rango di governatore generale dell’India, dopo che per mesi era stato in competizione con una rosa ristrettissima di nomi, sir Adam Jocelyn credeva che si sarebbe rapidamente imposto con la sua autorità sugli incolti abitanti del subcontinente. Era stato ambasciatore inglese presso il Regno di Sicilia, delegato del sovrano alla corte della dinastia Qing, aveva aperto la strada a relazioni commerciali solidissime. Non poteva nutrire timore per il nuovo incarico, qualsiasi cosa gli riservasse.
Era però in errore, perché sotto di lui l’India dovette fronteggiare prodigi, piaghe e calamità naturali che non avrebbero sfigurato nel libro dell’Esodo o in qualche antichissima epopea esotica. Zanzare, mosche e api infestarono l’aria, i ratti cambiarono forma e dimensione, un parassita infestante sterminò i mammiferi, e l’acqua non mutò in sangue solo perché era troppo putrida per mostrare una qualche variazione di colore. In quel tempo, soprattutto, il Punjab conobbe una crescita esponenziale della popolazione dei cobra. Trovatisi bene in quell’ambiente umido e caldo, i viscidoni s’erano moltiplicati, e i loro figli e i figli dei loro figli si erano fatti pasciuti e possenti, così che tutta la regione nel volgere di pochi mesi si era ritrovata a debordare di serpenti. Quanto più tentavano di debellarli, tanto più crescevano di numero, come l’idra al quale si taglia la testa per vederne immediatamente spuntare due o tre uguali e ugualmente disgustose e minacciose. Per quanto gli indiani ci provassero, sembrava impossibile controllarne il proliferare.
Le grandi città, così come i piccoli centri, pullulavano di rettili che sgusciavano ovunque causando spavento e cibandosi di animali da cortile. Il governatore ritenne che fosse compito dello stato farsi carico di una situazione così critica, ma qualsiasi intervento guidato dalla ragione si sarebbe rivelato velleitario. Il suo consigliere personale, perfettamente bilingue e più addentro alle dinamiche indiane, gli suggerì di interpellare un indovino. Spesso, aggiunse, la soluzione alle cose degli uomini risiede nei segni disseminati dalla natura, e in quel frangente di segni ne stava fornendo fin troppi. Anche se poco convinto – dubitava assai di ciò che lambiva i territori del magico – il reggente acconsentì.
Il pomeriggio stesso il pittoresco Rajendra, avvolto da afrori speziati, rotolò stancamente fino al suo ampio studio, mostrò con modi sgraziati una qualche forma di reverenza, e poi cominciò. Bruciò visceri di pollo, stese la mano grassoccia sui carboni ardenti e scrutò tra i fumi pungenti. Annusati infine i tizzoni, chiuse gli occhi e prese a salmodiare, sinistro.
«Se non troveremo un metodo efficace per estirparli, a breve i cobra ricopriranno tutta la superficie della regione, così che non sarà più possibile vedere il terreno. Divoreranno il poco suolo che i nubifragi lasciano a noi e alle nostre bestie, e poi divoreranno anche loro. Riempiranno tutte le case e i palazzi, si annideranno nelle camere dei tuoi ministri, insidieranno il calcagno tuo e quello delle concubine indiane che animano il tuo harem. Né mio padre, né il padre di mio padre, né alcun indiano ha mai visto cose simili. Contro di te, contro il tuo popolo e contro i tuoi lacchè usciranno fuori quando meno te lo aspetti.»
Fu dopo quell’orrendo vaticinio che Jocelyn, per quanto dubitasse dell’oracolo, mostrò un certo atterrimento. Per non lasciare nulla di intentato, provò una strada che in un’altra situazione lui per primo avrebbe considerato estrema: decretò, con efficacia immediata, che sui rettili fosse posta una taglia, come per i delinquenti matricolati, di modo che i cittadini fossero incentivati a cacciarli. Mentre pronunciava le parole che i segretari vergavano su cartapecora e papiro in tutti gli innumerevoli dialetti del luogo, si fregava le mani immaginando quali complimenti e onori avrebbe presto elargito Giorgio IV.
Riuscire a occuparsi di quella faccenda di difficile soluzione poteva essere l’occasione per avere un incarico più comodo e prestigioso, un ritorno in patria, oppure una luogotenenza in territori meno selvaggi e ostili dell’impero britannico. Nelle prime settimane in cui il decreto fu in vigore pareva funzionare, e i nemici velenosi sembravano sul punto di essere ricacciati ai margini della città. Fra i burocrati era palpabile un certo ottimismo, e Jocelyn ormai attendeva solo che la missiva d’encomio gli fosse recapitata.
Non conosceva, l’ingenuo sir, la natura dei disgraziati sudditi. Gli indiani, avidi e svelti, avevano scovato una falla nel decreto. La taglia – il legislatore non aveva meglio precisato, dando adito a interpretazioni diversissime fra loro – poteva essere incamerata senza dare necessariamente la caccia alle bestie.
I cobra, in altri termini, si potevano persino allevare in quantità spropositate per poi ucciderli, esemplari di ogni dimensione stipati in gabbie luride, pronti a essere decapitati e smembrati, prima di essere convertiti in moneta sonante. Fuori città, nei sobborghi marcescenti, negli scantinati più fetidi e impenetrabili, nei cortili più ascosi, migliaia di uomini senza arte né parte si dedicarono all’allevamento dei cobra. Poiché erano merce ambita e con un cambio fisso in oro, nacque dal nulla un mercato che il governatore non aveva avuto alcuna intenzione di creare.
Nei mesi seguenti, senza che nessuno si preoccupasse di verificare la provenienza delle pelli, delle carcasse, degli sfilacci e delle teste mozze, alla presenza del governatore fu portato un quantitativo di serpenti inimmaginabili. I cacciatori avevano sempre le stesse facce, cotte dal sole e smangiate dal monsone, e ciò cominciò a destare sospetti: o erano particolarmente abili oppure stavano defraudando la Corona. Le indagini furono rapide e accuratissime: i furfanti li avevano raggirati per settimane.
L’ordinanza era stata un salasso per le casse dell’impero. Il disappunto degli alti papaveri della corte inglese fu senza limiti, lo sdegno si levò impetuoso e travolse per primo Jocelyn, che con imbarazzo dovette ammettere di aver fallito. I serpenti avevano proliferato incuranti, il provvedimento su cui si era giocato la sua carriera diplomatica fu revocato.
Si dimise senza tergiversare oltre. Era il suo addio ai cobra, al caldo e all’umidità soffocante del Punjab, a quel popolo di sanguisughe. Prima di tornare a Londra, scrutando la città inospitale che aveva provato a conquistare con la legge, sembrò maledirla ad alta voce, in una lingua che nessuno sospettava che conoscesse.
Gli allevatori, che con quel commercio strisciante avevano accumulato palazzi e gioielli, avendo saputo che il decreto era stato cancellato, si vendicarono nel modo più istintivo e tremendo: aprirono le gabbie e liberarono le bestie, incoraggiarono i cobra – mille, un milione, un miliardo – a razziare la regione, e infestarono la regione più di prima.


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